lunedì 12 settembre 2016

La foto del primo giorno



E anche quest’anno si ricomincia. Oggi primo giorno di scuola.

Stamattina stazionavo fuori dal cancello, in attesa che il preside chiamasse gli alunni delle prime, uno per uno, nome per nome, a formare i vari gruppi classe. Un rituale.
Non so perché, ma invece che sulle faccine di quei bimbi e bimbe la mia attenzione si è posata sui genitori presenti (pochi e sparuti, diciamo una ventina su quasi duecento alunni). Le mamme formavano piccoli crocchi di due o tre, i papà aspettavano silenziosi e isolati. Tutti, comunque, lontani una decina di metri da quei figli che si assiepavano davanti al cancello: non si può tenere per mano un figlio che inizia il liceo…
Al momento della chiamata, i cellulari tenuti fino a quel momento così, quasi per caso, più o meno disinvoltamente, in mano, hanno fatto la loro comparsa e hanno scattato la foto, unica e pudica, del primo giorno. La foto dell’ingresso, la foto del “passaggio”.

Mi sono venute le lacrime agli occhi. Non solo perché mi sono ricordata dei giorni in cui anch’io ho scattato le identiche, medesime foto ai miei figli che iniziavano l’asilo o le elementari, ma perché ho pensato che quei genitori ci affidavano i loro figli, il loro futuro, e ho sentito tutta l’enorme responsabilità che questo comporta.

Vorrei ringraziare qui, adesso, quei genitori. Ringraziarli per la fiducia, per la speranza, persino anche forse per l’inconsapevolezza con cui ci hanno consegnato i loro figli. Vorrei promettere loro che mi prenderò cura di quei piccoli esseri spauriti (per carità, tempo tre mesi e diventeranno ben altro…) con tutto l’amore e il rispetto di cui sono capace. Che cercherò di farne degli uomini e delle donne, se ne avrò il tempo e le energie. Lo prometto.

Certo che… Ho concluso l’anno scolastico appena finito piangendo, per il dolore del distacco; inizio questo piangendo, per l’emozione dell’incontro. Andiamo bene… Forse l’ho già detto, ma invecchio, non c’è niente da fare.

P.S. La foto che accompagna questa pagina è quella del primo giorno d’asilo di mio figlio Davide, che ora ha quasi trent’anni.
Con infinito pudore e infinita tenerezza.

P.P.S. Aggiungo qui due pagine su un altro “passaggio”. Sono trascorsi cinque anni, ma riscriverei quelle pagine pari pari.

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