domenica 17 aprile 2016

"No, woman no cry..."



Recentemente mi son dovuta interessare all’uso terapeutico della marijuana.

Forse non tutti sanno che la marijuana ha una storia millenaria come rimedio farmacologico, condivisa da molte culture nel mondo.
Utilizzata in medicina e presente nella farmacopea ufficiale fino a circa metà del Novecento, ha effetti positivi accertati in moltissime patologie: epilessia (controllo delle convulsioni), depressione (miglioramento dell’umore), sclerosi multipla (diminuzione della rigidità muscolare), glaucoma (diminuzione della pressione interna dell'occhio fino al 50%), Alzheimer (prevenzione dei sintomi e rallentamento della progressione), Parkinson (alleviamento dei sintomi), fibromialgia (diminuzione del dolore e della rigidità muscolare), neoplasie (prevenzione e forse cura del tumore ai polmoni), e comunque principalmente in tutte le patologie in cui sia necessario controllare il dolore e la spasticità muscolare. Ha infatti spiccate proprietà analgesiche e miorilassanti ma, a differenza di altri principi attivi, non dà dipendenza e non crea assuefazione. Inoltre, studi scientifici evidenziano una minor tossicità rispetto ad alcool, nicotina o benzodiazepine.

Perché, allora, continuano a venir prescritti farmaci infinitamente meno efficaci e infinitamente più costosi e pericolosi? Perché tanti pregiudizi?

Facciamo un salto indietro.
Fino al 1937 la coltivazione e il commercio di qualsiasi tipo di cannabis, a scopo ‘ricreativo’ o terapeutico, era perfettamente legale in ogni parte del mondo. Nel 1937 il Congresso degli Stati Uniti d'America emanò il “Marijuana Tax Act”, firmato dal presidente Roosevelt, con cui si rendeva praticamente impossibile la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa a causa delle forti tassazioni che andavano a colpire i piccoli produttori locali e i commercianti esteri. Nel 1951 il presidente Truman firmò poi il “Boggs Act”, che rendeva illegale il possesso e il consumo di marijuana; infine, nel 1961, l'ONU classificò ufficialmente la cannabis come stupefacente, che fu da allora considerata tale nella maggior parte dei Paesi. 

Come mai un così improvviso proibizionismo, dopo secoli e secoli di utilizzazione diffusa e proficua? Se si ha voglia di andare a cercare le risposte si scopre che a premere sul Congresso e sui presidenti americani di quegli anni fu tale William Randolph Hearst, magnate dell’editoria nonché finanziatore di varie élites politiche. Hearst era anche il maggior produttore di cellulosa degli USA, in competizione con i produttori messicani che ricavavano la cellulosa (materiale di partenza per la produzione di carta per l’editoria) proprio dalla canapa. Contro il Messico Hearst montò un’enorme campagna propagandistica, accusando i lavoratori messicani di sottrarre posti di lavoro agli americani e soffiando anche su biechi pregiudizi razziali: e si ebbe il “Marijuana Tax Act”. Dopo il secondo conflitto mondiale la propaganda fece facile leva anche sui preconcetti piccolo-borghesi che vedevano nel consumo di marijuana un attentato al placido perbenismo dilagante: e si ebbe il "Boggs Act". Insomma, quello che era uno dei più efficaci principi farmacologici da sempre conosciuti fu dichiarato illegale a causa degli interessi economici di una élite politica, e a causa della stupida ipocrisia di un’intera generazione. 

Oggi, nella stragrande maggioranza dei Paesi la produzione e il commercio di marijuana sono illegali, anche se sono quasi ovunque consentiti il possesso e il consumo personale di piccole quantità. Fa eccezione la Giamaica, dove pare la consumi più del 70% della popolazione; d’altra parte, una delle religioni più diffuse in Giamaica è il rastafarianesimo, che predica l’uso della marijuana come supporto alla meditazione, e che addirittura la identifica nell’Albero della Vita presente nel giardino dell’Eden.
E fu Bob Marley a far conoscere al mondo il rastafarianesimo, e a diffondere l’immagine dell’“erba” come apportatrice di saggezza. “No, woman no cry…” 

Se l'uso a scopo ‘ricreativo’ resta illegale in molte parti del mondo, l'uso terapeutico della cannabis è ormai completamente o quasi completamente legale in molti paesi europei. E in Italia? In Italia l’uso terapeutico è regolamentato da un decreto del novembre 2015, a firma del ministro Lorenzin. Decreto sconosciuto ai più (medici in primis), che peraltro limita fortemente le patologie interessate e, anche per quelle riconosciute, le possibilità di prescrizione, insistendo invece su effetti indesiderati e necessarie “attività di sorveglianza”. Tra le quali, per inciso, il ritiro della patente… Oltre al fatto che l’applicazione di tale decreto spetta alle Regioni, per cui in alcune la prescrizione è comunque possibile, in altre no. 

Perché, perché? 

Non avrei mai immaginato, a 55 anni suonati (cosa non successa a 15, a 20, a 35, insomma mai), di aver voglia di farmi beatamente una canna.

2 commenti:

  1. Nella vita più s'invecchia e più s'impara! Ho sempre visto il diavolo dove "forse" non c'è. Grazie a chi ha trovato queste notizie, che servono per non invecchiare del tutto "rinco......i"

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