giovedì 8 ottobre 2015

Per un pugno di dollari


Cherasco è una cittadina meravigliosa: pulita, trasparente, gentile.

Sono trent’anni che ci vivo. Doveva essere una situazione provvisoria e invece è diventata una scelta di vita, che rifarei mille volte.

La gente di Cherasco ama la propria città. Ognuno contribuisce a difendere, e a creare, la bellezza che respira, in un circolo virtuoso. E bisogna dare atto alle Amministrazioni Comunali che si sono succedute negli ultimi vent’anni di aver saputo preservare e valorizzare questa bellezza con interventi coraggiosi e illuminati: palazzi e chiese in degrado sono stati acquisiti, recuperati e restaurati; eventi culturali di altissimo livello sono stati fortemente voluti, patrocinati e realizzati; persino l’illuminazione pubblica e la segnaletica stradale sono state ripensate e rifatte secondo criteri esteticamente compatibili con le peculiarità urbanistiche e architettoniche del tessuto urbano.

Oltre che straordinariamente bella, Cherasco è anche una città culturalmente molto viva: mostre e spettacoli animano tutto l’anno le sale dei palazzi, gli interni delle chiese o il selciato delle piazze, e da aprile a dicembre non c’è domenica che non ospiti un mercato dell’antiquariato, una rievocazione storica, una rassegna di danza o di teatro. Anche le manifestazioni apparentemente più popolari e più kitsch hanno una loro dignità e un loro senso: le fiere agricole propongono i prodotti più tipici del territorio, e le processioni religiose perpetuano tradizioni secolari, preservando e mantenendo vivi identità e senso di appartenenza. Per chi a Cherasco ci abita e ci vive tutta questa vivacità comporta qualche disagio: per uno o due giorni, ogni settimana, l’intero centro storico diventa pedonale, fittissimo di bancarelle e di turisti; pace e tranquillità vengono stravolte dal vociare di migliaia di persone, dalla confusione di colori e di odori, dal sovrapporsi di oggetti e suoni e volti. Ma è un disagio sopportabile, in primo luogo considerando che è anche a questo genere di manifestazioni che Cherasco deve la propria attrattività, e poi considerando la tipologia media di chi affolla strade e piazze: turisti colti, curiosi, attenti; qualcuno magari arriva per caso, e vaga inizialmente distratto per le vie perpendicolari, ma resta ben presto affascinato dai luoghi, dall’atmosfera. Tutti percepiscono, e rispettano, la bellezza che Cherasco emana. E comunque il giorno dopo si torna alla normalità, anche numerica.

A proposito di numeri, qualche dato: Cherasco conta circa 9000 abitanti, di cui però soltanto 5000 vivono nel capoluogo, con una densità di 110 abitanti per km2, ovvero la metà della media nazionale; siccome però le medie costituiscono sempre un dato astratto e fuorviante, un confronto significativo si ha con, per esempio, la densità di una città come Torino, che fa registrare quasi 7000 abitanti per km2.
Anche per questo, anche per la relativa scarsità di residenti, Cherasco è normalmente “rarefatta”, lieve. Talvolta capita di ritrovarsi completamente soli sotto i suoi portici chiari, anche in pieno giorno, con l’unica compagnia dei palazzi nobili e austeri, e il profumo dei tigli, e l’azzurro terso del cielo.

http://www.oktoberfestinlanghe.com/
Bene, in quest’oasi di bellezza amorosamente custodita, in questo gioiello di sobria eleganza miracolosamente sottratto alla cafonaggine e alla volgarità imperanti, da oggi e per dieci giorni consecutivi si terrà l’Oktoberfest.

La prima edizione si è svolta l’anno scorso, in quello che voleva essere poco più che un esperimento. Esperimento fallito, o riuscitissimo, a seconda dei punti di vista: si aspettavano non più di 5000 persone in tre giorni e ne sono arrivate 60000; viabilità completamente stravolta, strade intasate e accesso impossibile a qualsiasi mezzo; energia elettrica saltata più volte per l’eccessiva richiesta (immaginatevi ventimila persone, in piena notte, in uno spazio ristretto, completamente al buio...); tonnellate e tonnellate di spazzatura; una città devastata.
Visto il “successo”, quest’anno si replica. Anzi, si triplica, come si legge nei roboanti comunicati stampa e nel sito dedicato: uno spazio immenso tutto destinato all’evento, un tendone da 10000 posti, piazze e vie occupate da un numero imprecisato di casette in legno in perfetto stile bavarese... Se l’obiettivo di triplicare riguarderà anche il numero di presenze dobbiamo aspettarci in dieci giorni quasi 200000 persone. DUECENTOMILA.

Ma a chi caspita è venuta in mente ‘sta cavolo di idea? Ma proprio a Cherasco si doveva organizzare una cosa del genere? Possibile che non ci fossero spazi e luoghi più adatti?
Come e peggio dell’anno scorso, orde di barbari ubriachi vomiteranno e orineranno dove capita, devasteranno giardini e monumenti, profaneranno palazzi e chiese anche solo con il loro sguardo ottuso. Non si tratta di un moralistico boicottaggio nei confronti di chi decide di passare le proprie serate stramazzandosi di alcol, ma di una precisa obiezione in merito alla scelta del luogo dove permettere tutto questo.
E poi, che caspita c’entrano birra stinco e crauti con noi? È solo dell’anno scorso il riconoscimento delle Langhe come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, una terra unica per le sue ricchezze artistiche, storiche ed enogastronomiche, e mi ci venite a fare un’Oktoberfest? Oh, certo, qualcuno dirà che è un modo come un altro per realizzare i gemellaggi, l’interscambio culturale, l’alleanza tra i popoli... Ma certo, come no? Perché allora non un bel festival della paella a Spoleto, o una bella sagra del cous cous a Sabbioneta? Ma sì, confondiamo tutto, tradiamo l’identità, le tradizioni, la cultura di luoghi unici. Evviva la massificazione, l’omologazione, la globalizzazione!

La domanda è una sola: cui prodest? a chi giova? A Cherasco certamente no, non è questo il tipo di turismo cui la città si rivolge. Ai ristoranti e trattorie che in questi ultimi anni sono spuntati come funghi neppure, visto che appunto per dieci giorni nessuno sarà interessato a lumache e tajarin, e non giova neanche agli altri esercizi commerciali, considerato che l’affluenza sarà soprattutto serale, quando cioè i negozi sono chiusi. Dunque? Beh, certo ci guadagneranno gli organizzatori, e poi ovviamente i produttori di birra, rigorosamente tedesca. Io ci vedo una neanche tanto subdola, ed efficacissima, forma di colonizzazione, identica a quella che negli anni ’50 vide Coca-Cola e hamburger invadere il mondo... E datemi pure della complottista...

Insomma, tutto solo e sempre per un pugno di dollari. Anzi, per duecentomila boccali di euro.




giovedì 1 ottobre 2015

Ogni stagione ha i suoi frutti


“Ogni stagione ha i suoi frutti” è una frase che mio padre ripeteva sempre a me adolescente, quando, insofferente di limiti e di divieti, scalpitavo per ottenere quella libertà che invece mi veniva negata. La mia età allora ‘acerba’ non permetteva ancora, secondo papà, che io potessi godere di quello che la vita poteva offrire. E invece io volevo vivere, vivere, vivere! Quando sarebbe arrivata, quella benedetta ‘maturità’?

Bene. Stamattina, ripercorrendo la biografia di Manzoni, mostro ai ragazzi il ritratto che Hayez ne fece nel 1841. Didatticamente è sempre una strategia vincente: l’astrattezza di parole e di concetti viene supportata dalla concretezza delle immagini, e quello che sarebbe solo un nome o un autore da studiare diventa un uomo vero, nella sua materialità fisica e storica.

Insomma sono lì, che parlo e straparlo. «Ecco, vedete, è un Manzoni maturo quello che Hayez ritrae, perché il ritratto è del 1841 e Manzoni era nato nell’85, dunque aveva già...» «56 anni», esplode il ragazzino nel primo banco, precisando in una frazione di secondo quello che io stavo con non poche difficoltà cercando di calcolare (le mie capacità matematiche sono notoriamente inesistenti). «No, aspetta, 'solo' 56 anni?» «Eh sì, se era nato nell’85...»
Improvvisamente, come un fulmine, quell’aggettivo, ‘maturo’, che avevo usato solo un attimo prima, mi è apparso penosamente in tutta la sua amarezza. 56 anni. Come me.

C’era un’altra frase che papà ripeteva spesso e ancora oggi ripete: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia”...