mercoledì 17 settembre 2014

E questa la devo proprio raccontare



Se scrivere significa, come è per me, rielaborare emozioni per potersene liberare, o forse per farle definitivamente proprie, beh, allora questa la devo proprio raccontare.

L’ ANTEFATTO
Ieri sera ero a una conferenza-corso d’aggiornamento dal titolo “Processi di sperimentazione didattica”. Che poi la conferenza si sia rivelata una vera e propria truffa, ovvero semplicemente la promozione di un preciso prodotto e di un preciso brand, questa è un’altra storia (peraltro gravissima visto che l’incontro era patrocinato dal Ministero dell’Istruzione e da altre istituzioni statali e non. Ma vabbè).
Insomma ero lì, tutta intenta a prendere appunti, quando appare una visione. È lui, è l’uomo della mia vita: alto, moro, occhi azzurri. Andatura decisa, mascella forte, scarpe perfette. Maturo ma non troppo, appena qualche accenno di brizzolatura. L’uomo della mia vita. Gli appunti e la concentrazione vanno a farsi benedire, gli ormoni ballano il rock and roll acrobatico.
Appare e scompare a più riprese; evidentemente è un responsabile dell’Ente nella cui Sala Convegni si sta svolgendo la conferenza, almeno a giudicare dallo sguardo e dal piglio con cui osserva la sala. Lo rivedo all’uscita: stesso tuffo al cuore, stessa sensazione di svenimento imminente. Ok, è stato bello, fine.
Guido sulla strada del rientro pensando a tutt’altro: possibili applicazioni didattiche di quanto ascoltato, progetti, perplessità. Entro in casa nell’esatto momento in cui mi rendo conto di aver lasciato gli occhiali là, sulla poltroncina in pelle bianca della Sala Convegni. Panico, disperazione (senza occhiali, ormai, non vedo un tubo). Mi do della cretina. Ci penserò domani.

IL FATTO
Munita di un paio di occhiali prestatomi dal mio gentile consorte, affronto stamattina le prime due ore in classe. Vedo poco e male, ma meglio che niente. Nell’ora buca mi fiondo presso la famigerata Sala Convegni, dove vengo accolta da un usciere che nulla sa di occhiali persi ma che si rivela deliziosamente gentile e disponibile: perlustra la sala insieme a me, telefona all’addetta alle pulizie, contatta un suo collega. Niente occhiali, nada de nada. Nel frattempo entra nella portineria un mio ex alunno: giornalista di professione (è il corrispondente per la provincia di Cuneo de “La Stampa”), l’ho rivisto in questi anni più e più volte, sempre con tanto piacere e tanta tenerezza. Di anni ne son passati venticinque (sì, un quarto di secolo...), ma è come se fosse ieri. Ci mettiamo a chiacchierare, come sempre. All’improvviso entra lui. LUI. L’alto-moro-occhi azzurri-mascella forte. Svenimento imminente. L’alto-moro-occhi azzurri-mascella forte inizia a parlare con l’ex alunno, il quale dopo un po’ mi fa: “Ah prof, scusi, questo è Paolo. Se lo ricorda, no? Anche lui era in classe con noi.”
No, cioè, mi stai dicendo che l’alto-moro-occhi azzurri-mascella forte, l’uomo della mia vita, l’uomo per il quale ho avuto pensieri concupiscenti sia pur solo per qualche minuto (parecchi minuti) è... un mio ex alunno?
Azzeramento degli ormoni, tremendo senso del ridicolo, depressione totale.
Mi sono sentita Giocasta, Fedra, insomma una tardona sfigata alle prese con situazioni incestuose e incresciose. Soprattutto, alle prese con i miei anni.
Si, però, anche voi, benedetti alunni, non potete farmi ‘sti scherzi, non potete passare, così, in un attimo, da anonimi brufolosi sedicenni ad affascinanti quarantacinquenni! Eccheccavolo, son passati solo venticinque anni!
Non è finita qui. Il bell’Ippolito-Edipo, una volta saputo il motivo della mia presenza lì, si illumina improvvisamente: “Ah, ma allora sono suoi!” e dopo cinque minuti se ne torna con i miei occhiali...

L’EPILOGO
Sono tornata in possesso dei miei preziosissimi occhiali. Domani non avrò né problemi né pensieri. Quasi.